Doyle Brunson, la leggenda vivente del poker

Se c’è una persona che incarna alla perfezione il poker, quella è sicuramente Doyle Brunson. Non c’è giocatore di poker che non conosca questa leggenda vivente, in grado di restare sulla cresta dell’onda per oltre 50 anni.

Nel corso della sua leggendaria carriera ha affrontato tantissimi avversari, sfoderando un gioco brillante, geniale ed intuitivo. Conosciamolo meglio questo monumento del poker, partendo dalle origini alla carriera fino agli aneddoti più simpatici.

Doyle Brunson: da promessa mancata del basket a giocatore professionista del poker

Doyle Brunson nasce il 10 agosto 1933 in Texas ed inizialmente il poker era solo un passatempo con gli amici. Sin da ragazzino mostra infatti grandi doti nel gioco del basket, tant’è che molti lo considerano un predestinato.

I Minneapolis Lakers, meglio conosciuti oggi come i Los Angeles Lakers, mettono gli occhi sulla giovane promessa e stanno per ingaggiarlo. Poi, come in uno “sliding doors”, ecco l’evento che cambia la vita di Doyle per sempre: a causa di un incidente sul lavoro si spezza il ginocchio in due parti.

La sentenza è, sportivamente parlando, drammatica: carriera finita e fine dei sogni di gloria. Doyle si dedica allo studio anima e corpo, riuscendo a conseguire una laurea e trovare un lavoro.

Nel frattempo gioca a poker per pagarsi le spese ospedaliere e scopre di essere terribilmente bravo. In una partita a 7 card stud ottiene una vincita superiore al suo stipendio. Prende così il coraggio a due mani: lascia il suo lavoro per dedicarsi completamente al poker.

La grande ascesa verso il tavolo verde

A cavallo tra gli anni ’50 e ’60 Doyle Brunson inizia a farsi un nome e nel 1960 decide di trasferirsi definitivamente in Nevada. A dire il vero l’impatto con Las Vegas, la città dei sogni, è traumatico. Doyle in poco tempo perde tutto quello che aveva vinto in 6 anni, una cifra prossima ai 100.000 dollari.

Tuttavia Doyle riesce a rimettersi in piedi e raggiunge l’apice della carriera negli anni ’70, quando vince due Main Event delle WSOP 1976 e 1977. Continua a costruire una vera fortuna nei decenni successivi, durante i quali vince la bellezza di 10 braccialetti WSOP. Nonostante il suo palmares di tutto rispetto, il record di vittorie di braccialetti di WSOP spetta a Phil Hellmuth, che ne ha conquistati ben 15.

La leggenda del poker, alla soglia dei 90 anni, decide di ritirarsi dai tavoli di poker nel 2018. In oltre 50 anni di carriera si stima che Doyle abbia vinto oltre 6.000.000 di dollari.

“Texas Dolly”: un soprannome nato per caso

Ogni giocatore di poker che si rispetti ha un soprannome e a questa regola non sfugge certo il grande Doyle Brunson, noto anche come “Texas Dolly”.

Il soprannome iniziale era “Texas Doyle”. Il giocatore era infatti nato in Texas e non perdeva occasione per rimarcare fieramente le sue origini, sfoggiando un tipico cappello da cowboy alla texana.

Un giorno tale Jimmy Snyder, commentatore delle WSOP, per sbagliò lo chiamò “Texas Dolly” invece di “Texas Doyle”. Un soprannome che risultò addirittura più simpatico di quello originale, tant’è che gli rimase per sempre.

10-2, la “Doyle Brunson Hand”

Si dice che alcune mani siano legate indissolubilmente al destino dei giocatori. Se è così, per Doyle 10-2 è in assoluto la sua mano fortunata. Quella che può essere considerata a tutti gli effetti una “trash hand” ha di fatto costruito le fortune di Doyle. Con questa mano infatti ha vinto i due Main Event delle WSOP 1976 e 1977.

La prima volta fu alla finale del Main Event WSOP del 1976 contro Jesse Alto. Doyle conosceva la fama di giocatore fumantino di Alto, infatti puntava proprio ad irritarlo.

Nella mano decisiva Alto ha ottime carte: asso di picche e J di cuori e rilancia forte. Doyle ha una mano debole, appunto 10 e 2 di picche, ma decide di chiamare ugualmente.

Al flop esce: asso di cuori, J di picche e 10 di cuori. Alto ha la doppia coppia e punta forte, ma Brunson decide di chiamare pur avendo una debole coppia di 10. Al turn esce 2 di fiori che consente a Brunson di realizzare una doppia coppia, anche se è ancora sotto. Alto decide di andare all-in e Brunson chiama. Il suo coraggio viene premiato, poiché esce il 10 di quadri che consente a Brunson di realizzare un clamoroso full, un “bloody river” che manderà ko Alto.

La storia si ripeté clamorosamente nel 1977. All’heads-up finale del Main Event del 1977 Brunson ha di fronte Gary Berland. Nella mano decisiva Berland ha 8 di picche e 5 di cuori, mentre Doyle ha la sua mano preferita, 10 di picche e due di cuori.

Al flop esce 10 di quadri, 8 di picche e 5 di cuori. Berland è nettamente avanti con la sua doppia coppia ma decide di checkare, cosa che fa anche Brunson. Al turn esce il 2 di fiori e Doyle forza la mano andando all-in. L’avversario lo segue ed al river ecco un bel 10 di fiori, col quale Brunson chiude un altro full, anche se era già avanti con la doppia coppia.

Il Super System, la “bibbia” del poker

Doyle fu anche scrittore, infatti nel 1979 pubblicò il suo libro “Super System” che oggi viene considerato una sorta di “bibbia” del poker. Nel libro sono riportati aneddoti, storie e riflessioni sulle mani più importanti giocate durante la sua carriera.

Secondo Doyle, al di là delle abilità di gioco, bisogna saper sviluppare un sesto senso per scrutare l’avversario e capire cosa sta per fare, indipendentemente dalle carte che ha in mano. Nel 2004 uscì anche Super System 2, un libro scritto con la collaborazione di altri campioni come Daniel Negreanu, Bobby Baldwin, Johnny Chan e tanti altri ancora.

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